Il burattino che voleva diventare burattinaio

     

Anche nel parco nel cuore della città era stato costruito un teatro di burattini: ogni giorno il sipario si alzava davanti alla platea curiosa e il burattinaio metteva tutta la sua pazienza e la sua esperienza nel muovere i fili, animando le marionette in tante storie più o meno famose e che facevano sempre divertire. Ogni tanto la sua collezione si arricchiva di un nuovo venuto che gli permetteva di variare le trame, aggiungere qualche particolare diverso.

I burattini avevano ognuno un proprio ruolo che difficilmente veniva modificato, per essere sempre pronti -con abiti ed espressione- alla loro parte. Per questo un bel giorno un burattino si stancò: vedeva che a lui non toccava mai la parte del principe con quei bei vestiti di seta e le piume sul cappello o la parte del soldato in divisa con armi scintillanti, ma solo e sempre la povera parte di Pinocchio con il vestito di carta a fiori e il cappello di mollica di pane. Era ora di finirla, si diceva, almeno gli venisse chiesto un parere o gli fosse data ogni tanto la possibilità di cambiare, e invece niente: solo perché il suo naso al falegname era venuto un po' più lungo che agli altri, gli era stato affibbiato questo ingrato compito. Aveva provato lui a lamentarsi con i compagni, ma neanche quelli non troppo contenti avevano voglia di protestare, temevano il burattinaio così burbero e serio, non volevano essere cacciati via.

Il burattino non si arrese: "Troverò pure il modo", pensava "di farmi sentire. E anche se dovrò combattere da solo, ebbene combatterò!". E così un bel giorno, come il burattinaio gli comparve davanti per portarlo sul palcoscenico, il burattino sbottò con foga: "Basta, di Pinocchio ne ho abbastanza, voglio anch'io diventare principe e tu invece anche oggi hai scelto l'ultimo arrivato, un burattino magari senza esperienza; e la principessa ... sempre a quella smorfiosa la fai fare! è ora di cambiare, guarda tra quanti puoi scegliere!" Il burattinaio rimase esterrefatto di fronte a tanta audacia ma non si perse d'animo: "Va bene" disse, "vuoi prendere tu il mio posto? Te lo lascio volentieri; anch'io sono stanco di decidere quale storia rappresentare, quali parole dire, quali burattini scegliere: mi fai quasi un favore. Io me ne andrò in paltea a godermi lo spettacolo.". Il burattino non aveva pensato a questa possibilità e fu preso dal panico: e adesso? Ma fu questione di un attimo: subito l'entusiasmo e l'eccitazione della novità ebbero il sopravvento ed egli si mise di buona lena ad organizzare la recita: Colombina -la sua simpatia- sarebbe diventata regina, Pulcinella -così pieno di inventiva- avrebbe fatto il re, il principe ed il soldato i servitori; la storia sarebbe stata una bellissima storia d'amore e di guerra con il Gatto e la Volpe come consiglieri e Lucignolo re dei nemici. Quando si alzò il sipario all'ora consueta, però, il palcoscenico era in piena confusione: i burattini non sapevano come e dove muoversi, si impacciavano nelle battute dicendo l'uno quelle dell'altro e lo spettacolo naufragò tra le risate ed i fischi del pubblico. Il burattino-direttore avvilito, in un angolo, si chiedeva: "Dove ho sbagliato? Forse i miei compagni presi alla sprovvista non hanno recitato bene ... ma la storia era bella! ..." Quella sera chiamò tutti i burattini e volle ascoltare che cosa pensassero del cambiamento; ne uscì un parapiglia: quelli che avevano perso una parte importante volevano che fosse restituita, gli altri che tanto avevano atteso una parte più interessante non volevano rinunciarvi e poi ognuno pretendeva di modificare la storia a suo vantaggio, magari facendo estromettere qualcun altro. Tutto finì in grida, insulti, botte a più non posso. Il burattino rimase deluso: avrebbe voluto che tutti partecipassero serenamente con le loro idee, ma non sembrava possibile. Ad un certo punto esasperato prese un bel bastone e si mise a menar colpi a destra e a sinistra. Finalmente ci fu silenzio! "Ascoltate me, adesso" ordinò. "Invece di azzuffarci inutilmente, cerchiamo una soluzione che sia di gradimento a tutti. Mettiamoci d'accordo sulle storie, variando ogni giorno trame e personaggi così che ognuno possa recitare in modo sempre diverso". La proposta piacque e fu messa in atto fin dall'indomani. Nei giorni seguenti lo spettacolo andò costantemente migliorando anche se i burattini tendevano ad appoggiarsi a quello che aveva avuto iniziativa lasciandogli la responsabilità delle decisioni più importanti e poi ciascuno, per ora, recitava meglio nel ruolo che gli era più familiare, in quello che aveva sostenuto per tanto tempo. "Bisognerà pazientare un altro po'", rifletteva il burattino tutto sommato compiaciuto del risultato, pensando a quanti passi avanti avevano fatto tutti da quel primo burrascoso spettacolo.

"Buongiorno". Era così assorto nei suoi pensieri che la voce lo fece sobbalzare. Si girò e vide un distinto signore avanzare verso di lui. "E' qui quel burattino che ha preso il posto del mio burattinaio?". "Sono proprio io" rispose perplesso. Non aveva mai visto quella persona e si sentiva stranamente imbarazzato. Aggiustandosi il cappello e scuotendo il bastone con gran sussiego, intanto, il nuovo venuto continuò: "I teatri di burattini della città dipendono tutti da me: nessuno vi può recitare senza il mio permesso e solo io decido quali storie rappresentare. Che qui diriga tu o un altro, per me in fondo è lo stesso; basta che siano rispettati gli ordini. Ma tu che ne hai fatto di tutte le mie disposizioni? Ho visto che da un po' di tempo decidi tutto tu". "Io non prendo ordini da nessuno" rispose il burattino, pensando al mucchio di scartoffie abbandonato sul tavolo e mai sistemato. "O le mie storie ti piacciono come sono -e il pubblico si diverte, viene sempre numeroso- oppure non so che farci; io lavoro con i miei compagni e nessuno qui è disposto ad accettare imposizioni". "Ah! nessuno vuole imposizioni?! ma nemmeno io e non ammetto ribellioni. Quindi o ubbidisci o te ne vai". "Io non mi muovo di qui ed anche il pubblico mi difenderà!". "Il pubblico! bel difensore, vedrai! Ti conviene andartene con le buone, altrimenti ... So io come liberarmi di te!". Il burattino, per quanto amareggiato e preoccupato, continuò con gli spettacoli. Arrivavano puntualmente gli ordini che almeno adesso leggeva, ma poi -come aveva sempre fatto- li metteva da parte e decideva con i compagni ogni sera la recita dell'indomani.

Aveva notato, è vero, durante gli ultimi spettacoli un certo nervosismo tra il pubblico, qualche fischio, qualche commento maligno subito zittito dai vicini e si chiedeva se era sua impressione per effetto delle recenti minacce oppure un reale malcontento. Fatto sta che, più il tempo passava, meno sicuro si sentiva, anche se gli altri burattini parevano soddisfatti e per nulla all'erta. "Finché lavoriamo sodo e in compagnia" pensava, "tutto si potrà risolvere; speriamo bene ...". Un giorno uno dei burattini cadde malamente e si ruppe una gamba; non poteva sistemarla in fretta, aveva bisogno di tempo e quindi dovette essere sostituito. Fu con molta esitazione che il burattino-direttore fece la sua scelta, ma la nuova marionetta sembrava non creare problemi: si affiatò subito con tutti, dimostrandosi allegra, simpatica, disponibile a qualsiasi parte, una vera fortuna. Tutti le volevano bene e anche il pubblico l'applaudì molto fin dalla prima apparizione. Eppure il burattino non si sentiva tranquillo: ogni tanto gli pareva di cogliere dei bisbigli nei corridoi subito interrotti al suo apparire ed occhiate furtive o arroganti nei suoi confronti; nulla di preciso, però, solo un'impressione; per il resto tutto continuava come sempre. Ogni tanto arrivava per il sopralluogo il solito distinto signore e se ne andava ripetendo la minaccia di allontanare il burattino se non si decideva ad accettare gli ordini. Un giorno anzi gli disse: "Vedrai che non avrò neppure bisogno di cacciarti via: te ne andrai da solo". E questo pensiero cominciò davvero a torturare il povero burattino  che dentro di sé pensava: "Quasi quasi stavo meglio quando dovevo solo rappresentare Pinocchio: ogni giorno sapevo che cosa mi aspettava e poi, passate le ore dello spettacolo, tutto il tempo era mio, potevo fare quello che volevo. Qui mi sembra di aver perso parte della mia libertà, sono diventato quasi schiavo delle storie, dei burattini, del pubblico e mi si vuol togliere anche l'autonomia che mi rimane ...".

Non era certo nella migliore disposizione d'animo per affrontare difficoltà e proprio quel pomeriggio, all'alzarsi del sipario, notò gran fermento in platea. Si doveva recitare una delle ultime storie, del resto già collaudata ed applaudita, ma questa volta il pubblico non pareva disposto ad ascoltare. Un certo gruppo, all'apparire del primo burattino, si mise a gridare che voleva Pulcinella ed Arlecchino, impedendo di sentire le voci sulla scena. I burattini tentarono di proseguire, ma tra fischi ed urla cominciarono a confondersi facendo aumentare il malumore e quando calò il sipario del primo intervallo, si affollarono intorno al direttore per decidere che fare. Fu a questo punto che si intromise la nuova marionetta prendendo vivamente le difese degli spettatori malcontenti: che cosa aspettavano a sostituire la storia -in fondo banale- con quello che il pubblico desiderava? "Ma è una minoranza" rispose il burattino. "Il pubblico ci ha sempre apprezzato ed applaudito, potremmo allontanare gli scontenti e proseguire come avevamo deciso". "Ma l'ispettore non ci perdonerà, lo prenderà per un affronto e ci caccerà tutti", ribadì la marionetta sicura, e poi si rivolse ai compagni per sentire che cosa pensassero. Non era semplice fare la propria scelta: o si rischiava il posto o ci si mostrava poco leali di fronte all'impegno comune. E la marionetta intanto insisteva: "Non sentite il pubblico che cosa vuole? e del resto sono gli spettacoli che ci era stato ordinato da fare. Che male c'è ad accontentare contemporaneamente pubblico ed ispettore? Meglio di così ...". L'esitazione dei burattini cominciava a diventare decisione: "Se non fosse stato per te" dissero rivolti al loro compagno, "non ci troveremmo in questo guaio; bella figura davvero: fischiati e tra poco licenziati". "Ma se abbiamo deciso tutti assieme" intervenne uno "e finora siamo stati ben contenti della nostra autonomia. Ci è costata fatica, d'accordo, ma gli spettacoli erano tutta opera nostra e l'applauso del pubblico una bella soddisfazione". "E' vero" risposero gli altri, "ma se non è possibile continuare, è inutile insistere. Forse scegliamo la strada più comoda, ma almeno recitiamo quello che sappiamo senza dover sempre cercare novità e viviamo in pace". "In pace? in apparenza, forse ...". "Insomma nessuno ti trattiene; se non sei contento, te ne puoi andare" disse la marionetta, "mi pare che qui tutti vogliano collaborare per accontentare il pubblico e ...". "Il pubblico! Il pubblico beve qualsiasi cosa, diciamo la verità, basta sapergliela presentare nel modo giusto. Qui l'unico ad essere accontentato è l'ispettore ...". Il burattino sentiva crescergli dentro una gran voglia di prendere un bel bastone -come quella prima sera- e far sentire le sue ragioni, ma questa volta, capiva, c'era un pericolo concreto ed imminente al posto di una rosea speranza: non avrebbe potuto averla vinta contro un pubblico di scalmanati e dei compagni deboli ed esitanti. Ingoiò un grosso sospiro, raccolse le sue cose ed infilò la porta del teatro.

L'arietta fresca del parco all'imbrunire gli fece bene, si sentì quasi liberato: per un po' sarebbe rimasto solo, si sarebbe guardato attorno per scrivere le sue storie e poi chissà ... ci sono tanti teatri nel mondo.   (gg)