Un brusco risveglio

Era una piacevole mattina primaverile, di quelle dove il sole non scottava troppo. Una fresca brezza entrava dal finestrino aperto, accarezzandole dolcemente il viso e scompigliandole i lunghi capelli biondi.

Finalmente era in viaggio. Non ne poteva più della grigia coltre che opprimeva la città. Aspettava quel momento da giorni, un fine settimana di riposo in campagna da sua zia era uno dei pochi piaceri cui non rinunciava mai.

Il viaggio sarebbe stato lungo. Erano necessarie almeno cinque ore di macchina per raggiungere quello sperduto paesino, perso in mezzo a vaste distese di campi coltivati. La fattoria di sua zia era poco fuori da Migliarino, il paese più grande lì vicino, posto in riva ad un canale, nel quale, da piccola, tante volte aveva pescato con suo padre.

Si era portata molti libri e riviste da leggere, forse troppi per quei quattro giorni. Invece, non aveva con se’ assolutamente nulla di lavoro, in quella piccola vacanza non avrebbe visto diagrammi di andamento finanziario o bilanci, per fortuna.

Di quei luoghi amava il silenzio, rotto solo dallo stormire delle fronde e dai grilli, che sembrava cantassero felici per l’arrivo della bella stagione. Se un po’ si impegnava, le sembrava quasi di sentire l’odore dei fiori e dell’erba fresca.

Dopo aver lasciato l’autostrada, che correva larga e nera da Ferrara a Padova, prese a est, per una piccola e sconnessa provinciale. Erano trascorse quasi quattro ore, in mezzo ad un traffico tutto sommato sopportabile, quando arrivò al solito paese, dove c’era un bar piccolo, ma accogliente, con una proprietaria grassa e sorridente. Si fermava a fare colazione lì ogni volta. Come sempre, quando partiva per quel viaggio, si era svegliata alle quattro e, dopo circa un’ora per lavarsi e vestirsi, era in macchina che non erano nemmeno le cinque. La valigia la preparava sempre la sera prima, con calma, così sperava di non dimenticarsi nulla.

Fatta la colazione si rimise in macchina felice, perché ormai mancavano appena una cinquantina di chilometri.

Era proprio una giornata limpida e fresca. Respirò a pieni polmoni e si fece pervadere da quella sensazione di leggero piacere che le inebriava il corpo.

Stava percorrendo un tratto di strada leggermente curvo, ai cui lati c’era una fila di vecchi platani. Il sole sbucava dalle grandi chiome, creando strani giochi di luci ed ombre.

D’un tratto la vide di fronte a lei. Una macchina di grossa cilindrata, non ne riconobbe il modello, stava azzardando un sorpasso, in un punto senza visibilità, proprio quando stava sopraggiungendo lei.

L’impatto fu tremendo.

La sua macchina fu sbalzata lateralmente e si girò su un fianco, finendo violentemente la sua corsa contro uno degli alberi. La cintura di sicurezza e l’airbag cercarono di fare il loro dovere, ma invano. Le lamiere contorte la bloccarono nella macchina. I suoi ultimi pensieri furono per il suo gatto nero, che aveva lasciato a casa, e per l’idiozia umana.

Pensò, quasi ironicamente, che non aveva creduto mai potesse toccare anche a lei.

Invece le toccò.

L’impatto con l’albero a bordo strada deformò il telaio della macchina, piegando con forza le lamiere già contorte. Prima che l’urto finale ponesse fine alle sue sofferenze, ebbe il tempo di piangere silenziosamente.

Si alzò di scatto da una specie di lettino di plastica le mancava il respiro. Tossì con forza, piegandosi in avanti. Qualcuno la prese per le spalle e la sostenne.

Dopo qualche istante si calmò e si guardò intorno. Era all’interno di un box con le pareti di vetro smerigliato. L’uomo che l’aveva aiutata era vestito di verde, sembrava quasi indossasse una divisa.

-"Mi dispiace", disse con voce atona. "A volte le persone si sfogano in gioco e questo è ciò che succede. Comunque, quando c’è un evento di morte traumatica causata da altri, l’apertura di un nuovo account e i primi due mesi di gioco sono gratuiti."

Lo guardò con aria terrorizzata, non riusciva a capire cosa stesse dicendo.

Osservando la sua espressione, l’uomo si fece cupo. "Signorina, si ricorda cosa è successo?"

Lei era sempre più confusa. "Ma… ma… non so…", riuscì a balbettare appena. "Ero in macchina… Che posto è questo?"

" Non sa dove siamo?" domandò allibito.

Lei scosse la testa. Non sentiva più dolore, ma la spaventava tutto quello che era successo. Che posto poteva essere quello?

Lo sconosciuto prese qualcosa dalla tasca e, dopo averlo avvicinato alla bocca, parlò piano. Quindi si rivolse nuovamente a lei che lo guardava con aria sconvolta.

"Stia calma, a volte succede…"

"Succede cosa?" gridò esasperata.

"Non si agiti. Vedrà che tutto si sistemerà." Non era molto convincente.

Arrivarono degli altri uomini, vestiti come il primo, ma più alti e robusti. La guardarono attenti, quindi si scostarono e lasciarono passare un ometto pelato, vestito di bianco. Questo le si avvicinò piano, facendo un largo sorriso.

"Signorina, cerchi di non agitarsi. Posso capire che questa situazione le può sembrare strana, ma se solo mi seguisse, potrei spiegarle tutto."

Cosa poteva fare? Era in un posto sconosciuto, ma stava fisicamente bene, o così pareva. Scese dal lettino e, solo in quel momento, si accorse dello strano abito che indossava. Era fatto di uno scuro tessuto elastico, sembrava un pezzo unico. Le stava aderente al busto, per poi diventare una lunga gonna con uno spacco sulla gamba destra. Non trovava cuciture o cerniere. Ai piedi aveva delle scarpe dello stesso colore, ma leggermente trasparenti e con un alto tacco, come non ne aveva mai usate.

Seguì l’ometto vestito di bianco, scortata dagli altri. Notò che in realtà era all’interno di un grande capannone. Ovunque c’erano cuccette, come quella dove era sdraiata, tutte chiuse da una porta trasparente, senza maniglia. Alcune erano vuote, in altre c’erano delle persone che sembrava dormissero.

Entrarono in una stanzetta senza finestre. All’interno c’era un tavolo con due sedie. L’ometto si sedette su una e la invitò ad accomodarsi sull’altra.

"Ciò che le sto per dire potrà essere un po’ duro da capire." Si fermò pensieroso, come se non sapesse da che parte iniziare il discorso. "Quello che le è appena successo non è reale."

Non gli credeva, non poteva credere ad una cosa del genere. Si ricordava tutto, tutto della sua vita e di ciò che era successo su quella maledetta strada. Rimase silenziosa a fissarlo.

"Vede, questo è solo un gioco. Lei paga cinquanta euro al mese per giocare. Come tutti quelli che ha visto sdraiati in quella grande sala. Purtroppo a volte, una morte violenta provoca un… come dire… una sovrascrittura dei ricordi reali con i ricordi del gioco."

Non poteva crederci. Era tutto assurdo, forse lo stava sognando.

"Ma le sembra possibile che la gente rischi la vita su quelle assurde automobili? Facendole andare a velocità pazzesche? E tutte quelle morti assurde? Noi cerchiamo di scoprire chi non gioca seguendo il suo ruolo, chi rovina il gioco degli altri, ma non è così semplice. I giocatori sono milioni." Espirò profondamente. "I peggiori sono i politici. Dicono sempre cose diverse, senza un minimo di coerenza. E tutto per prendere voti e non perdere il posto ed i diritti acquisiti."

"Provi a pensarci. Quale persona, con un minimo di stima di se stessa, riuscirebbe a guardarsi ancora allo specchio, dopo essersi comportata in quella maniera?"  Continuava a guardarlo silenziosa.  "Non vuole credermi? Lei aveva deciso di interpretare un personaggio che giocava in Italia. Si ricorda di 'Mani Pulite'? E’ stato un nostro tentativo di eliminare una serie di giocatori scorretti, ma la cura è stata peggio del male. Oltre che inutile. In stati diversi si sono tentate vie diverse, a seconda dell’ambientazione, ma non è quasi mai servito a niente."  Si fermò pensieroso per un momento. "Vedo che non riesco a convincerla. Le faccio un altro esempio: l’eutanasia. Stiamo cercando di agire in modo che non venga approvata dai parlamenti dei vari stati. Per molti è una via comoda per cambiare personaggio, infatti è vietato usarne più di uno. A cosa crede che siano dovuti tutti quei suicidi? Gente che gioca male e che vuole cambiare, perché non sa interpretare un ruolo."  La guardò attentamente.  "Ancora non riesco a farle capire. Non si agiti, questa è il primo passo per la terapia di recupero."  Sfiorò una zona del tavolo e una specie di sottile televisore trasparente si alzò nel mezzo, ponendosi tra loro.  "Ora le farò vedere delle immagini che, come le parrà ovvio, non potremmo avere se non si trattasse di un gioco. Vede, tutto ciò che succede viene archiviato per sicurezza."  Così dicendo, l’ometto premette dei pulsanti alla base del televisore.

Sul video iniziarono a scorrere delle figure. Era lei! Lei da piccola, con i suoi genitori, a scuola, con gli amici. Le fecero rivedere i passi più importanti della sua vita la maturità, la laurea, il suo lavoro.

Tutto quello era impossibile! Come potevano avere le registrazioni di ogni cosa? Sentiva la testa girare, tutto quello che l’ometto le stava dicendo era assurdo, impossibile! Aveva le palpebre pesanti. Non riusciva più a fare un movimento coordinato. Si alzò di scatto dalla sedia, spingendola violentemente indietro. Barcollò per un attimo e, portandosi le mani alle tempie, gridò. Gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, come se stesse cercando di liberarsi dalle catene che sembravano avvolgerle la mente.

Gli uomini vestiti di verde, che erano rimasti fermi e silenziosi vicino alle pareti, si fecero avanti e la presero con forza per tenerla ferma.

Quindi l’ometto pelato le si avvicinò, tenendo in mano quella che poteva essere una strana siringa senza ago, e le praticò un’iniezione sulla spalla.

Lei, lentamente, sentì i muscoli rilassarsi e la mente aprirsi. Si sentiva felice, leggera e felice. Le ultime parole che comprese, prima di perdere del tutto conoscenza, furono dette sempre da quell’odioso ometto dalla voce stridula.

-"Solita procedura ricollegatela. Io andrò al centro di controllo per far modificare l’evento. Da quell’incidente uscirà viva. Speriamo solo che trovino presto il modo di far ritornare i loro ricordi...".

(Michael Hundred - michael.hundred AT gmail.com)


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